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"Quando gli Economisti Sbagliano le Previsioni!"

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Mutui e Prestiti



Anticipazioni sbagliate. Valutazioni "sballate". Revisioni delle stime che seguono revisioni delle stime. È la storia recente delle previsioni sulla crescita economica. Basta ricordare quella sul Pil Usa nel quarto trimestre 2008: doveva calare del 3,8%, il dato finale è stato di un crollo del 6,2 per cento. Un caso isolato? Assolutamente no e per rendersene conto basta dare un`occhiata ai numeri: a gennaio dello scorso anno, cioè quando lo tsunami subprime aveva colpito già da 8 mesi, il consensus sul Pil 2008 dell`Italia era ancora per un incremento dell`1,2 % (+1,8% quello sull`area Euro).
Ciò ha portato il consumatore a richiedere sempre di più mutui e prestiti al consumo.
Ad aprile si assiste alla limatura delle previsioni: il consensus parla di una crescita dell`1,5% nell`area Euro e un + 0,6% per il Belpaese. Tre mesi dopo, a luglio, la storia si ripete ma con una sorpresa. In Eurolandia, addirittura, si ri-alzano le stime: il Pil a fine anno? Dovrebbe salire dell`1,6 per cento. L`Italia, invece, resta fanalino di coda con un incremento dello 0,4%. Ce n`é abbastanza? Certo che no. A ottobre torna il "pessimismo" sull`Europa: crescita solo dell`1,2%; nella Penisola, invece, la congiuntura sarà piatta. A gennaio 2009, la previsione 2008 per l`area Euro è dello 0,9% mentre in Italia siamo ad un calo dello 0,5 per cento. Alla fine, storia di questi giorni, il consuntivo sul 2008 è il seguente: il Pil 2008 in Italia è negativo per un punto percentuale mentre in eurolandia la crescita è dello 0,7 per cento.

Insomma, la storia è una continua sforbiciata al consensus, che riguarda anche le principali istituzioni di previsione. Giocoforza, sorgono le domande: come mai tutti questi errori nelle stime? E poi: è una situazione imprevedibile, o sono i modelli alla base delle previsioni non così efficienti? Ancora: alla fine, servono realmente a qualcosa? Il Sole24ore.com ha tentato di analizzare lo spinoso tema.

Previsioni mancate
Già, perché le stime non hanno previsto il crollo? «I modelli previsionali - risponde Luigi Campiglio, professore di politica economica all`Università Cattolica di Milano- funzionano all`interno di un determinato "regime". Cioè, quando esiste un trend delineato che, seppure caratterizzato dai cicli economici, vanta una tendenza di fondo sul lungo periodo. Se questo regime cambia, come accade ora, è difficile cogliere i punti di svolta». Un esempio può aiutare a capire meglio. Esistono modelli previsionali, cosiddetti strutturali, che definiscono il futuro basandosi sul ripetersi, nel passato, di un certo andamento dell`economia (regolarità storiche) in presenza di certi rapporti tra le variabili economiche. Per esempio: individuata una determinata propensione al consumo (o al risparmio) delle famiglie, si può individuare, confrontandola con un mix di altre regolarità storiche, una probabile evoluzione dell`economia. «Ebbene - dice Campiglio - a gennaio la propensione marginale al risparmio delle famiglie americane, da sempre negativa, è incredibilmente balzata al 5 per cento». C`è, insomma, un fatto nuovo, eccezionale che è tra le cause del cambiamento di regime. E, giocoforza, la vita del modello previsionale si complica. Alla fine si può dire che, nonostante la complessità e raffinatezza del modello, il fatto di "guardare" al passato per interpretare il futuro crea il problema: se nel passato una situazione non si è mai verificata (o solo in rari casi), la regolarità economica non viene individuata. «In presenza di sviluppi eccezionali - ha detto in un intervento il vicedirettore generale di Bankitalia, Ignazio Visco - tali da costituire un momento di discontinuità con il passato, viene a mancare la regolarità statitistica di riferimento».

Ma non è solo questione di nuovi eventi. C`è anche la carenza «nel rappresentare - spiega sempre Visco - gli aspetti che maggiormente contano nell`attuale crisi», cioè: in che modo l`epidemia si è trasmessa dai mercati finanziari all`economia reale. Le tensioni sul mercato interbancario e la difficoltà delle banche a raccogliere crediti hanno schiacciato gli investimenti delle imprese e i consumi delle famiglie: «Una situazione - commenta Luca Paolazzi, direttore del centro studi di Confindustria - mai considerata in profondità dai modelli di previsione».

Le critiche dell`economia cognitiva.
Proprio il comportamento dei mercati finanziari ha dato il «la» per diverse considerazioni. Quando, agli inizi del credit crunch, i tassi interbancari sono schizzati all`insù la mossa, quasi "pavloviana", delle banche centrali è stata di inondare il mercato di liquidità. Si è detto: ripartiranno gli scambi, i tassi scenderanno e il mercato tornerà normale. In una parola: si è ragionato secondo gli schemi tradizionali della razionalità e dell`efficienza dei mercati. Le cose, però, sono andate diversamente. Le banche non si fidavano tra di loro e il denaro, invece di prestarselo, lo mettevano nei caveu. Un comportamento che gli stessi modelli di previsione non hanno preso in considerazione. Si dirà: un evento eccezionale, un indizio del cambiamento di regime.

Possibile, ma molti si chiedono se questi comportamenti siano veramente eccezionali, "irrazionali". «Io non credo all`agire "irrazionale", non prevedibile - dice Salvatore Rizzello, professore di economia politica ed esperto di economia cognitiva - In realtà è l`impostazione alla base dei modelli econometrici (compresi quelli che fanno le stime, ndr) ancora limitata. Si guarda all`operatore economico come un soggetto che decide in base a regole standard ben precise: come, per esempio, massimizzare i profitti e ridurre al minimo le perdite. In realtà, numerosi esperimenti hanno mostrato il contrario. La routine culturale, la storia personale, l`informazione parziale rispetto alle alternative porta a prendere decisioni "irrazionali"». Che, però, sono state da anni valutate e analizzate e quindi «sono prevedibili e hanno niente di "irrazionale". Ben potrebbero - aggiunge Rizzello- essere inserite nei modelli per migliorarli». «La provocazione culturale - ribatte Campiglio - mi trova concorde. Tuttavia, non abbiamo ancora una teoria generale che permetta di usare concretamente i principi della economia cognitiva». Come dire insomma: i diversi tipi di modelli sono già molto complessi e, allo stato attuale, è difficile inserire anche queste variabili.

Peraltro, nei procedimenti (molto articolati) che portano a formare la stima, un`importanza rilevante è data al cosiddetto judgment: il "buon senso". I diversi esperti dei mercati analizzano i dati, li confrontano e poi danno la loro impressione sulle possibili evoluzioni. Insomma, il freddo dato numerico sarebbe già valutato "irrazionalmente", "di pancia" invece che con il solo procedimento analitico. Solo che, l`evoluzione prevedibilmente "irrazionale" del mercato interbancario non è stata anticipata.

Maggiore trasparenza.
Al di là delle questioni culturali di fondo, quali le prospettive di queste previsioni? Sono realmente utili? Per rispondere alla domanda basta un piccolo esercizio mentale: ipotizzare un mondo dove una qualche ipotesi sul futuro non esiste. Cioè, non si hanno punti di riferimento (seppure probabili), in riferimento ai quali muoversi. In una simile situazione sarebbe difficile, per non dire impossibile, prendere qualsiasi decisione. Questa considerazione vale ancora di più nel mondo economico dove, per esempio, le industrie definiscono i loro budget proprio sulle stime del ciclo economico.

Tutto a posto, quindi? Assolutamente no. Soprattutto in un periodo di alta volatità dei mercati come l`attuale, nuovi accorgimenti sono necessari. Anche perché, se lo stillicidio di revisioni proseguisse, gli istituti che fanno previsioni, e i dati stessi, perderebbero di autorevolezza. Così, diversi studiosi puntano sull`aspetto di una più puntuale informazione: più trasparenza e maggiore informazione sulla tipologia del dato. Indicare con precisione, per esempio, se si tratta di un valore preliminare o consuntivo. Senza dimenticare, poi, la possibilità di indicare un range, una forchetta all`interno del quale inserire la stima previsionale o lo scenario considerato più probabile. Insomma, offrire un`informazione più analitica. Senza avere il timore di apparire non così puntuali nella previsione: l`economia è complessa; pensare di prevederne esattamente i suoi sviluppi è pura utopia. Chi pensa il contrario è un illuso o è in mala fede.
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Fonte: Il Sole 24 Ore





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