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"Il Rapporto con la Libia non si può Ignorare!"

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Nel 1911 l`Italia di Giolitti dichiarò guerra all`Impero Ottomano (Guerra Italo-Turca) per ottenere il controllo della Libia con la pace di Losanna. Fino agli anni trenta, gli italiani combatterono, uccidendo un ottavo della popolazione libica (100.000 vittime)[2], la resistenza organizzata dai Senussi (Omar al-Mukhtar, Idris di Cirenaica, Enver Pascià, Aziz Bey), fino all`impiccagione di Omar al-Mukhtar, nel 1931, mentre coloni italiani si stabilivano in Libia, fino a costituire il 13% della popolazione nel 1939. Nel gennaio 1943 la Libia venne occupata dalle truppe degli Alleati, anche se gran parte degli italiani rimasero in Libia.

Col Trattato di Pace del 1947, la Gran Bretagna amministra Tripolitania e Cirenaica, e la Francia il Fezzan, in gestione fiduciaria delle Nazioni Unite, mentre la Striscia di Aozou (ottenuta da Mussolini nel 1935) viene riconsegnata alla colonia francese del Ciad.
Sicuramente, ed non è per dire, l´Italia non depredò la Libia, come invece fecero altri Paesi in altre colonie, ma si comportò come si sarebbe comportata (o avrebbe dovuto comportarsi e questa mancanza fu sí un errore) nel nostro meridione, già in quel periodo costretto ad una spietata emigrazione, a causa delle depredazioni del nord “unificatore”.
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La Libia con 6 milioni di abitanti - poco più della Sicilia e molto meno della Lombardia - è un`economia basata sul petrolio, ma in rapida evoluzione. Il Paese nordafricano costituisce un partner naturale dell`Italia sia per la contiguità geografica a cavallo del Mediterraneo, che per i rapporti storici che neanche la rivolta contro il colonialismo del Bel Paese ha saputo interrompere. Legami economici forti hanno spinto l`Italia a ponderare quindi con cura la propria posizione nella guerra civile prima di decidere un intervento a fianco della comunità internazionale e della missione tesa a scongiurare i più gravi effetti del conflitto sulla popolazione civile. La rivolta contro il leader storico di Tripoli Mummar Gheddafi, inserita nell`ambito di vasti e improvvisi moti popolari che avevano portato rapidamente alla caduta dei regimi in Egitto e in Tunisia, ha dimostrato rapidamente una divisione del Paese nordafricano assai maggiore di quella registrata negli altri due paesi del Maghreb e si è altrettanto rapidamente trasformata in una vera guerra civile che ha causato una separazione in due blocchi della Libia e l`avvio di un attacco militare del versante ovest del Paese fedele a Gheddafi sul versante occidentale. Ma quali sono e saranno gli effetti sull`Italia?

Indirettamente la crisi libica, insieme a quella egiziana precedente e a quella giapponese successiva ha favorito un rincaro dei prezzi del petrolio e un clima generale di incertezza sui rischi per la fragile ripresa economica globale. I rincari del greggio delle ultime settimane e i prezzi record della benzina sono sicuramente il fardello più pesante per la nostra economia e per le altre economie europee. Molti altri legami specifici però fanno della situazione italiana un caso specifico.

La Libia vive di petrolio e idrocarburi che coprono la quasi totalità delle esportazioni e la cui produzione è la base dell`economia locale. Questo ha esposto ovviamente negli anni il Paese alle fluttuazioni dei mercati degli idrocarburi e ha spinto le autorità locali a cercare di sviluppare le alternative alla "oil economy" grazie anche alle notevoli riserve accumulate grazie ai proventi petroliferi dalla Banca centrale libica e stimate in 97,9 miliardi di dollari a marzo dello scorso anno.
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Queste manovre di ampliamento del mix produttivo dell`economia libica hanno direttamente coinvolto l`Italia che si è impegnata attivamente nella realizzazione di importanti infrastrutture come l`autostrada destinata a collegare i due estremi della costa libica con un investimento miliardario. Un ruolo particolare sarebbe stato destinato a Impregilo che ha già siglato contratti per 360 milioni di euro per opere di urbanizzazione a Tripoli e a Misurata. Al riguardo il colosso italiano delle infrastrutture ha di recente evidenziato che i contenuti investimenti effettuati finora sono stati comunque integralmente coperti dalle anticipazioni contrattuali, mentre sono previste criticità nella sviluppo della produttività nel medio periodo. Difficile dire oggi se i contratti all`indomani della crisi saranno rispettati, anche se entrambe le parti si sono dette disposte a onorare gli impegni presi.
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Ancora maggiore il ruolo dell`Eni, il maggiore investitore nel Paese, che conta in Libia circa il 14% della propria produzione giornaliera di idrocarburi e importa il proprio gas tramite il Greenstream storica e strategica condotta sottomarina che collega la Libia alla Sicilia. Per quest`anno Eni non stima in realtà perdite di bilancio collegate alla crisi perché ritiene di poter bilanciare i suoi effetti con il rincaro del greggio che si è registrato sui mercati. Nonostante la Libia sia il terzo fornitore di gas per l`Italia, Paolo Romani, ministro dello Sviluppo Economico, ha spiegato che con le riserve attuali l`Italia potrebbe arrivare fino a luglio e che non ci sono grossi problemi di approvvigionamento nonostante l`interruzione delle forniture anche grazie alla riattivazione del gasdotto Transitgas.

Nonostante gas e petrolio coprano gran parte dell`interscambio Italia-Libia che ammonta a circa 12,1 miliardi di dollari la situazione secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni, sarebbe insomma sotto controllo. Il manager ha inoltre sottolineato che le partecipazioni libiche al capitale del gruppo sono trascurabili.

Una delle istanze che infatti hanno maggiormente preoccupato i mercati finanziari è infatti collegata ai forti investimenti della Libia in Italia in gruppi strategici come Unicredit, di cui ha raggiunto circa il 7% del capitale ripartito tra la Banca centrale libica (4,6%) e la Lybian Investment Authority (2,5%). Le quote sono state però congelate e l`amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni ha dichiarato di non temere effetti sul gruppo da questa circostanza. Unicredit sarebbe stata a breve la prima banca straniera autorizzata ad operare in Libia e il gruppo sembra rammaricarsi di più le occasioni perdute nel Paese africano che per gli effetti di questa incertezza su quote comunque rilevanti.

E` tecnicamente considerata rilevante anche la quota del 2% controlla da Lia in Finmeccanica società che nel 2011 ha in corso contratti con Tripoli per ben 800 milioni di euro e prevede ricavi dalle attività in loco per 250-300 milioni con un ebitda di 60-70 milioni. Danni relativi se si considera che il gruppo ha chiuso il 2010 con un fatturato di 18,69 miliardi di euro.

Difficile insomma trascurare i rapporti della Libia con la grande industria italiana presente anche con Fiat, e in particolare con Iveco, nel Paese. Importanti i rapporti anche nel settore delle Telecomunicazioni con Telecom, Prysmian Cables (la ex Pirelli Cavi) e la Sirti che ha siglato contratti per 68 milioni di euro nel Paese. Al riguardo va ricordato che la Libtic (Libyan post telecomunications information technology company, la compagnia telefonica nazionale libica) controlla il 14,79% del capitale di Retelit e ne è il primo azionista. Retelit è una società che controlla in Italia una rete di telecomunicazioni di circa 6`800 chilometri in fibra ottica.

I legami insomma sono tanto stretti e intrecciati tra Roma e Tripoli che probabilmente, come non è bastata la fine del colonalismo italiano nel Paese, così non basterà questa guerra civile a interromperli. La geografia impone delle relazioni, che però la crisi in corso potrebbe ridisegnare in favore di altri soggetti internazionali - russi o cinesi per esempio - già attivi nel Paese e che potrebbero guadagnare posizioni. Uno scenario che gli interventi internazionali di questi giorni stanno ancora disegnando. Uno scenario del quale comunque l`Italia dovrà far parte.
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