Amore e psiche



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Un sorriso inaspettato

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Un sorriso inaspettato



Il sole dell'estate appena iniziata, entrava dalla finestra semiaperta e spandeva nella stanza da letto una luce che rendeva piacevole il risveglio. La presenza di una leggera brezza mattutina era tradita, oltre che dagli svolazzi della tenda di cotone, di un bianco immacolato, che sembrava muoversi come persona viva, anche da qualche piacevole brivido sulla pelle. Aprì gli occhi lentamente. Passò qualche istante prima che riuscisse a mettere a fuoco il quadrante dell`orologio per controllare l`ora. Le sette e mezza. "Neanche tanto presto, tutto sommato" pensò tra se mentre si stirava, allungandosi per tutta la lunghezza del letto. Si soffermò ancora un momento ad osservare i giochi di luce ed ombra che si muovevano sulle pareti in corrispondenza degli spostamenti della tenda. A volte era proprio come un bambino. Si alzò dal letto con la tranquillità che soltanto un sabato mattina può trasmettere. Un'altra stiratina, tanto per essere sicuri di aver messo in movimento tutti i muscoli del corpo, ed un altro fine settimana poteva finalmente avere inizio. Nel giro di una trentina di minuti, era pronto per andare a fare colazione al bar che si trovava a due passi da casa, giusto l'isolato accanto.



C'erano due ragioni precise che gli avevano fatto scegliere proprio “quel” bar. La prima era di carattere, diciamo, logistico. Semplicemente dimenticava, sistematicamente, di comprare il latte il venerdì sera e non aveva voglia di scendere a prenderlo il giorno successivo e prepararselo a casa. Beh si, in realtà era una scusa, perché semplicemente odiava fare colazione da solo. La seconda era invece una di quelle ragioni che, da che mondo è mondo, fanno fare ad uomo qualsiasi cosa, anche la più stupida. Un vecchio adagio, che si può sentir dire in tutti i dialetti delle nostre contrade, tanto è diffuso, afferma che anche un paio di buoi che cerchino di trascinare un gravoso carico in salita, non riuscirebbero ad esercitare la spinta che invece riesce ad imprimerci una bella sottana. Cappuccino e cornetto, infatti, erano serviti da una biondina con degli splendidi occhi verdi, che lei sapeva muovere maliziosamente, su ciascuno degli avventori, senza mai soffermarsi più del dovuto su nessuno di loro. A dir la verità, lui l'avrebbe preferita mora, perché era il suo colore naturale e si vedeva anche, ma era talmente carina che si poteva tralasciare tranquillamente questo particolare. Anche quella mattina, come ogni sabato, cercò di allungare il più possibile la sua permanenza all'interno del bar. Provò a dire qualche battuta, di tanto in tanto, per rompere il ghiaccio ma, vedendo che l'attenzione della ragazza era focalizzata sul suo lavoro, decise di andare. Aveva fatto la figura del cretino già abbastanza. Tornò a casa dopo aver acquistato il giornale e fatto due chiacchiere con l'edicolante. Per un paio d'ore almeno era indisponibile a qualsiasi cosa. Beh, quasi indisponibile. Se l'avesse cercato la biondina del bar avrebbe certamente avuto tutto il tempo. Eh si, sognare non costa niente, per fortuna.



Dopo una rapida scorsa ai titoli, iniziò a leggere il giornale dalle pagine interne, tralasciando la cronaca. Era l'unica parte del giornale che saltava a pié pari, trovandola decisamente noiosa e priva di interesse. Il ruolo di un quotidiano, secondo lui, era ben altro. Per questo, spesso e volentieri, pur avendolo acquistato al mattino, finiva per darci un'occhiata molto più tardi se non addirittura il giorno dopo, generando infinite discussioni con il suo migliore amico. “Il giornale non serve per leggere le notizie, ma per il loro approfondimento” aveva più volte sentenziato, quando gli veniva detto che era una cosa stupida leggere un giornale la sera. Nonostante le polemiche, anche accese, nessuno dei due aveva comunque cambiato idea. Proprio per questo avevano deciso, di comune accordo, di non discuterne più. Arrivato alle pagine economiche, decise di smettere e di fare un giro per il quartiere. Uscì sul pianerottolo giusto in tempo per vedere che l'ascensore era stato appena chiamato da uno dei piani superiori. Inutile aspettare, allora.



Lo stabile in cui abitava era un unico, grande condominio, costituito da due scale con entrate indipendenti, ciascuna di otto piani, aventi il portone principale, quello che dava sulla strada, in comune. Sembrava di essere in un paese. Tutti si conoscevano tra di loro ed era usuale vederli fuori del palazzo a chiacchierare del più e del meno con foga amichevole e delle gran risate. Lui invece, pur abitando lì ormai da due anni, conosceva pochissime persone. Le sue due vicine di casa, al sesto piano, il signor Quirino del piano di sopra, la coppia che abitava nell'appartamento sotto di lui ed il portiere con relativa consorte, che non abitava neanche lì ma all'altra scala. Con gli altri ci si scambiava soltanto un cenno quando ci si incontrava. Buongiorno e buonasera, niente di più. Tra questi c'era un signore di mezza età che salutava sempre per primo, sorridente ma un po' schivo, continuamente di corsa. Non sapeva definire con esattezza perché, ma gli era sempre sembrato che quel sorriso fosse venato da un non so che di triste. Era stato più volte sul punto di fermarlo, con una scusa qualsiasi, per cercare di scoprirne la causa, ma aveva sempre rinunciato per non sembrare inopportuno e forse anche maleducato. Giudicando che sarebbe probabilmente rimasta una curiosità senza risposta si limitava, ogni volta che lo incrociava, a seguirne i passi veloci con lo sguardo.



Arrivò nell'androne nello stesso istante in cui l'ascensore segnalava la fine corsa con un suono metallico. Sentì le porte interne scricchiolare, nell'aprirsi, mentre dava una fugace, quanto disinteressata, occhiata alla cassetta della posta. Aprì il portone e si voltò, senza uscire. Un po' anche per la curiosità di vedere chi stesse scendendo. Quando la porta dell'ascensore si aprì vide che si trattava proprio di quel signore di mezza età. Non era solo. Insieme a lui c'era una ragazza, dall'età indefinibile, probabilmente poco più che adolescente, quasi sicuramente sua figlia. Gli fu immediatamente evidente la causa di quella tristezza che gli era parso di vedere, di intuire. La ragazza era gravemente disabile. L'uomo, basso di statura e con un fisico esile, era costretto a trascinarla di peso, non essendo lei in grado di camminare da sola. Il viso dell'anziano signore mostrava ora una espressione sofferente, oltre che per lo sforzo fisico che stava facendo, anche per il disagio dovuto alla presenza di una persona praticamente sconosciuta. Era la prima volta che si incontravano in una circostanza simile. Probabilmente pensava all'imbarazzo di chi si trovava, suo malgrado, di fronte a tanta sofferenza. A piccoli passi, serrando le proprie braccia intorno alla vita della ragazza per impedirle di cadere e tenendone i piedi sovrapposti ai suoi, percorse lo spazio che separava entrambi dal portone. Di tanto in tanto si fermò per prendere fiato. L'altro continuava a reggere il portone, senza neanche riuscire a decidere se fosse il caso di salutare o di dire qualsiasi altra cosa, tanto quell'uomo era concentrato a trascinarsi in avanti cercando di evitare che la ragazza si facesse del male. Lei invece pareva non rendersi conto di nulla, né dello sforzo del padre né della presenza impacciata di un'altra persona. Fissava il vuoto, senza espressione, con la bocca aperta. I due si fermarono, per l'ultima sosta prima di uscire dal portone, proprio davanti a lui. Si salutarono e l'uomo ringraziò per la cortesia. Fu in quel momento che la ragazza reclinò la testa verso la sua sinistra e allungò il braccio fino a poggiare la mano sul braccio dell'altro, in quella che sembrava una carezza. Anche l'espressione non era più assente. Pareva che sorridesse e di certo lui ebbe questa impressione. Sentì il respiro come fermarsi. L'imbarazzo sembrò scomparire. Il padre sorrise a sua volta e ringraziò di nuovo, quindi uscì. C'era da percorrere ancora un bel tratto prima di arrivare sulla strada. Attese qualche istante prima di muoversi, lentamente, verso l'esterno. Quando fu fuori, i due non c'erano già più. Si rese conto di trovarsi in mezzo al chiasso delle voci, delle auto, soltanto dopo aver percorso un centinaio di metri. Si guardò intorno. Il frastuono quotidiano lo aveva colto di sorpresa. Come se ci fosse un profumo diverso nell'aria si immerse in quell'umanità varia e rumorosa. Ad ogni passo un volto nuovo, una storia diversa e la certezza che là attorno qualcuno, forse, stava cercando proprio lui.


Luciano




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